"Coi colleghi di banda che istruiva lui sotto una tettoia il sabato sera alla stazione, arrivavano sulla festa leggeri e spediti; poi per due tre giorni non chiudevano la bocca né gli occhi - via il clarino il bicchiere, via il bicchiere la forchetta, poi di nuovo il clarino, la cornetta, la tromba, poi un'altra mangiata, poi un'altra bevuta e l'assolo, poi la merenda, il cenone, la veglia fino al mattino. C'erano feste, processioni, nozze; c'erano gare con le bande rivali. La mattina del secondo, del terzo giorno scendevano dal palchetto stralunati, era un piacere cacciare la faccia in un secchio d'acqua e magari buttarsi sull'erba di quei prati tra i carri, i birocci e lo stallatico dei cavalli e dei buoi. - Chi pagava? - dicevo. I comuni, le famiglie, gli ambiziosi, tutti quanti. E a mangiare, diceva, erano sempre gli stessi.
Cesare Pavese
"La luna e i falò"